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È domenica e sono nel posto giusto: la mia Ferrara

Daria Bignardi scrive della sua città natale su Vanity Fair
Daria Bignardi

 

Non ero ancora tornata a Ferrara, dopo il terremoto. Ogni giorno sentivo al telefono mia sorella, coi suoi problemi da sfollata: casa inagibile, il trauma delle scosse.
E ci pensavo sempre, a Ferrara. Ci sono nata e cresciuta, me ne sono andata dopo il liceo, ci sono tornata spesso, non troppo spesso da quando sono morti i miei. 
Ero stata a L’Aquila, un anno fa, e avevo scritto dell’incredulità di camminare per una città fantasma e chiederti: se succedesse alla mia? I racconti di mia sorella e dei miei amici mi avevano impressionato, ma sapevo che la distruzione aveva risparmiato Ferrara. Altrove, in Emilia, i danni sono stati devastanti, e ho cercato di dare una mano come potevo.
Con tanti colleghi, da Fazio a Michele Serra e Geppi e Luciana Littizzetto, il 5 luglio abbiamo organizzato una serata di parole in piazza, a Bologna, e già consegnato al sindaco di Crevalcore 200 mila euro per riaprire la scuola. Ho chiesto al pianista Cesare Picco di suonare a Ferrara per raccogliere fondi che aiutino a riaprire il Teatro Comunale. Mi sono messa a disposizione di Internazionale che i primi di ottobre, con il suo bellissimo Festival, segnerà la ripresa delle grandi manifestazioni in città (con i concerti di luglio di Ferrara Sotto le Stelle: da Damien Rice a Bon Iver, chicche per palati fini) e sarà la vera prova generale del ritorno alla normalità, anzi all’eccezionalità di Ferrara, città che fa cultura davvero.
Eppure non ci ero ancora tornata.I librai di Ferrara avevano organizzato una maratona di lettura per il 7 luglio, ma il 6 iniziavano le vacanze al mare coi figli. Il rito di sempre: Sardegna, casa in affitto, stesso periodo, stessa spiaggia, chilometri di tornanti e bambini che vomitano ma quando arrivi c’è il profumo dell’elicriso. Chi glielo dice ai figli che bisogna rimandare? Bagagli, chiudi casa, sistema il gatto, viaggio di dodici ore, vomito d’ordinanza, arrivi, fai la spesa, fai i letti, vai a dormire: domani iniziano le vacanze. Mi sono svegliata presto la mattina del 7 e sono andata in spiaggia. Il solito baretto sta aprendo, vado a bere il primo caffè. Un’occhiata a Twitter. Leggo un tweet di Einaudi: «Chi dà un passaggio a Sandrone Dazieri che stasera va alla maratona di lettura a Ferrara?». Penso: è la mia città, devo andare. Più che pensarlo l’ho sentito.Ho detto ai bambini: devo andare, torno domattina, voi state con la nonna, fate i bravi e lavate i piatti. Mi hanno guardata perplessi, ma solidali. In due ore sono arrivata a Olbia. Cinquanta minuti di ritardo e un’ora d’aereo dopo ero a Linate. Tre ore di macchina e sono arrivata a Ferrara proprio nel momento in cui la luce del tramonto faceva risplendere i muri rossi del Castello Estense.
Era bellissima.Sono andata in piazza. Non c’erano molte persone: era sabato sera e in Romagna, al mare, era appena iniziata la Notte Rosa. Sono salita sul palco, così stanca che non so di preciso che cosa ho detto. Credo di aver delirato che «a volte non basta dire ma bisogna fare» e io avevo sentito il bisogno di quel pellegrinaggio di migliaia di chilometri per l’Italia, un bisogno egoistico, ma non potevo assolutamente mancare. Il pubblico mi guardava perplesso e solidale, come i miei figli. «È l’aria di Ferrara», avranno pensato, «qui è impazzito persino il Tasso, figurati la Bignardi». Ho parlato poco e in maniera accorata e confusa, un po’ come questa rubrica che ha chiesto da sola di essere scritta.Il mattino dopo, mi sono fatta prestare una bicicletta dal portiere dell’albergo.
La città era deserta, per il caldo e perché era domenica. Ho visto la chiesa di Santa Maria in Vado con la Madonna crollata dal tetto. Chiusa e transennata, come la meravigliosa chiesa della Certosa dove ho fatto il funerale a mia madre. Vagavo a caso per le vie deserte: quelle medioevali e quelle rinascimentali fino a corso Ercole I, la strada più bella d’Europa, passando per gli orti cinquecenteschi degli Estensi, nella luce dorata del mattino.
E poi al Cimitero ebraico dove è sepolto Giorgio Bassani: uno dei posti più emozionanti di una città che in ogni pietra custodisce una bellezza struggente, antica, unica, come se per qualche motivo misterioso fosse stata risparmiata dalle contaminazioni, dallo scorrere del tempo.Capita ogni tanto, nella vita, di sentirsi esattamente dove si voleva essere: io ho capito che quella domenica di luglio dovevo essere lì, a Ferrara, e in nessun altro posto al mondo.
Forse per vedere che cosa ho rischiato di perdere. Forse per dirvi di andarci, se non lo avete mai fatto. Di tornarci ora, se la conoscete. Di iscrivere i vostri figli all’università più bella d’Italia. C’è un patrimonio da non dimenticare. Nostro, di tutti.
ultima modifica 24/07/2013 10:06
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