Palazzo Pio di Tresigallo
Meglio nota per la linearità dell’impianto urbanistico e per le architetture razionaliste degli anni Trenta del ’900, Tresigallo conserva anche un felice esempio di costruzione cinquecentesca, sorta probabilmente come dimora nobiliare per scopi venatori
Durante il periodo in cui la famiglia d’Este reggeva le sorti del ducato di Ferrara, Tresigallo era una piccola comunità rurale della pianura orientale attraversata dal Po di Volano, formata da contadini e in modo occasionale dai nobili ferraresi proprietari di alcune possessioni, molte delle quali facenti parte dei beni fondiari di pertinenza della Mensa vescovile di Ferrara.
Tra i possidenti, colui che fece probabilmente costruire, tra il 1517 e 1531, all’interno della tenuta “La motta” (da “mota”, ossia ammasso di terra) l’edificio signorile oggi denominato Palazzo Pio fu Alessandro Feruffino, “magnifico e generoso cavaliere” nonché capitano delle milizie del duca Alfonso I d’Este. Discendente di una nobile famiglia alessandrina, si segnalò nella cruenta battaglia della Polesella (30 novembre 1509), quando, ferito, riuscì a stento a salvarsi, a differenza di Ercole Cantelmo, fatto prigioniero e decapitato (lo ricorda anche Lodovico Ariosto nel XXXVI canto dell’Orlando Furioso).
Nel 1538 coronò la carriera diplomatica divenendo Giudice dei Savi del Comune di Ferrara. Occorre sottolineare che i beni di Tresigallo giunsero nelle disponibilità del nobile piemontese grazie alla moglie Caterina Machiavelli Dalle Frutta, figlia ed erede di quel Gaspare a cui – nel 1496 – il duca Ercole I d’Este vendette i terreni tresigallesi (a sua volta ricevuti dall’ultimo discendente della famiglia Gualengo, che li ottenne su investitura della Mensa vescovile).
Se Alessandro Feruffino fu personalità di spicco nella corte ferrarese, la moglie Caterina continuò a godere di certe prerogative tanto da essere la protagonista dell’assegnazione perfezionata dalla Mensa di Ferrara nel 1517 delle tre possessioni di Tresigallo, ovvero Roncodigà, Final di Rero e Cornacervina.
Nel testamento del Feruffino (1536) viene lasciata in eredità la proprietà di tutti i terreni e fabbricati di Tresigallo alla figlia Ippolita, sposata in seconde nozze con Federico Quais, detto Quaino, di Mantova. Il documento è di grande importanza, in quanto per la prima volta viene indicata la presenza di un edificio padronale di rilevanza tale da essere definito “palazzo”, oltreché la possessione comprendente gli appezzamenti di terreno chiamati “Perarolo” e “Mota”, i boschi di “Lamia”e della “Zucha” e le valli fino a Brazzolo.
Dal punto di vista documentario, ad oggi nulla è dato sapere sull’iniziale conformazione architettonica e distribuzione degli ambienti interni, entrambe pesantemente stravolte nel corso dei secoli successivi, come dimostrano il tamponamento di gran parte delle finestre nei prospetti, le incongrue superfetazioni e l’abbattimento del lungo porticato colonnato che, al piano terra, separava l’entrata principale dall’antistante cortile.
Seppur ridimensionate con fattezze ingentilite, le bertesche sommitali e la robustezza muraria costituiscono gli attributi militareschi dell’attuale torre che, evidentemente, assolveva compiti di presidio e tutela dell’adiacente residenza e delle sue pertinenze (stalle e scuderie, forno e fienili, botteghe, abitazioni dei fattori e dei braccianti, una peschiera e la ghiacciaia).
In Ville e “delizie” del Ferrarese, Ugo Malagù riferiva di “lembi di ornato affrescati” visti di persona negli anni ’40 del secolo scorso, sia nelle strutture murarie che nei soffitti lignei, evidentemente risparmiati dalle deturpanti tramezzature delle sale o dalla selvaggia imbiancatura di quasi tutte le pareti e solai a cassettoni compiute tra la fine del XIX e gli inizi del successivo.
Nel 1541 il vescovo di Ferrara rinnova l’investitura a Federico Quais, segno indiscutibile del valore personale e del peso politico ed economico delle parentele acquisite. La proprietà passò poi ai coniugi Fiordimonte Quaina (figlia ed erede di Federico) e Giovan Francesco Nigrisoli, esponente di un’antica casata di Ferrara.
Nel 1622 succedono come possessori i membri della famiglia Gualengo, ma dopo la morte di Ercole e in assenza di un erede maschio la Mensa arcivescovile conferì nel 1653 tutte le ricchezze al cardinale Carlo Pio, alla cui morte subentrarono nel 1689 il principe Luigi Pio e suo nipote Francesco Pio, non più risiedenti nella città estense.
In questo periodo la tenuta veniva affidata all’amministrazione di procuratori e la residenza padronale utilizzata dai fattori. A seguito della morte del principe Giberto Pio, avvenuta a Madrid nel 1776, e successivamente all’estinzione del ramo spagnolo dei Pio, l’immobile passò in eredità alla famiglia Falcò, e poi alla Pubblica Amministrazione durante il periodo della dominazione francese.
Messa poi in vendita (con una lunga serie di proprietari-fittavoli succedutisi nel frattempo, dai nobili Costabili Containi di Ferrara ai Montecuccoli di Modena, dai De Ferrari di Genova e molti altri), la possessione “La motta” con il suo vetusto stabile e pertinenze venne acquistata nel 1872 dalla Società Bonifiche Terreni Ferraresi: poi, nel 1914, solo il palazzo verrà rivenduto alla famiglia Monesi e da questa all’impresa edile dei fratelli Matteucci, proprietari fino al maggio del 2009, quando il Comune di Tresigallo ha finalmente concluso le trattative per l’acquisto dello storico edificio.
Orari
Il palazzo è visitabile in occasione di iniziative speciali.
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ultima modifica
30/05/2019 12:02